martedì 28 luglio 2009

La Luna, l'unico satellite terrestre


La Luna è l'unico satellite naturale della Terra. Il suo nome proprio viene talvolta utilizzato, per estensione e con l'iniziale minuscola (una luna), come sinonimo di "satellite naturale".

Il suo simbolo astronomico è una rappresentazione stilizzata della sua fase crescente.

La faccia della Luna rivolta in direzione opposta alla Terra si chiama propriamente faccia lontana. A volte viene chiamata faccia oscura, il cui significato è qui inteso come sconosciuto e nascosto; si riferisce anche al black out delle comunicazioni radio, che avviene quando una sonda spaziale si muove dietro la faccia lontana. Questa interruzione delle comunicazioni è causata dalla massa della Luna che blocca i segnali radio. Il termine "faccia oscura" è spesso erroneamente interpretato come una mancanza di radiazioni solari, ma il Sole illumina la faccia lontana esattamente come quella rivolta verso di noi.

La maggior parte della faccia lontana non può essere vista dalla Terra, perché la rivoluzione della luna attorno alla terra e la rotazione attorno al suo asse hanno lo stesso periodo. Una piccola porzione può essere vista grazie alla librazione, che rende irregolare il moto di rotazione della Luna. Nel complesso dalla terra è visibile circa il 59% della superficie lunare.

La faccia vicina della Luna è coperta da circa 30 000 crateri (contando quelli con un diametro di almeno 1 chilometro). Il cratere lunare più grande è il bacino Polo Sud-Aitken, ha un diametro di circa 2500 chilometri ed è profondo 13 chilometri, occupa la parte meridionale della faccia lontana.

LA LUNA E LA SFERA CELESTE

La Luna compie un'orbita completa della sfera celeste circa ogni 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11 secondi ma l'osservatore sulla Terra conta circa 29,5 giorni tra una nuova luna e la successiva, per via del contemporaneo movimento di rivoluzione terrestre. Nel corso di un'ora si muove nel cielo di una distanza vicina alla sua dimensione apparente, circa mezzo grado. La Luna rimane sempre in una regione del cielo chiamata lo Zodiaco, che si estende circa 8 gradi sopra e sotto l'eclittica. Questa viene attraversata dalla Luna ogni 2 settimane.

ROTAZIONE

angolare di 13° al giorno. La durata è quindi uguale a quella del moto di rivoluzione pari a 27g 7h 43m 12s. Questo è il motivo per cui la Luna rivolge alla Terra sempre la stessa faccia. L'attrazione che la Terra esercita sul rigonfiamento equatoriale più che sulle zone polari sulla Luna provoca in essa delle oscillazioni di lieve entità, le librazioni, che insieme alle librazioni apparenti, connesse alle posizioni che la Luna assume rispetto alla Terra, ci consentono di vedere un po' più della metà della superficie lunare (circa il 59%)

CARATTERISTICHE FISICHE

Le origini della Luna sono al centro di un dibattito scientifico molto acceso. La teoria più accreditata è quella secondo cui essa si sia formata a seguito della collisione di un asteroide delle dimensioni simili a quelle di Marte con la Terra quando quest'ultima era ancora calda, nella prima fase della sua formazione (tale asteroide è chiamato a volte Theia). Il materiale scaturito dall'impatto rimase in orbita intorno alla Terra e per effetto della forza gravitazionale si riunì formando la Luna. Detta comunemente la Teoria dell'Impatto Gigante, conta su simulazioni pubblicate nell'agosto 2001 che la supportano. Una conferma di questa tesi deriva dal fatto che la composizione della Luna è pressoché identica a quella del mantello terrestre privato degli elementi più leggeri, evaporati per la mancanza di un'atmosfera e della forza gravitazionale necessarie per trattenerli. Inoltre, l'inclinazione dell'orbita della Luna rende piuttosto improbabili le teorie secondo cui la Luna si formò insieme alla Terra o fu catturata in seguito.

La Terra e la Luna orbitano attorno ad un centro di massa comune, che si trova ad una distanza di circa 4700 chilometri dal centro della Terra. Poiché questo centro si trova dentro alla massa terrestre, il moto della Terra è meglio descritto come un'oscillazione. Viste dal Polo Nord della Terra, le rotazioni dei due corpi celesti, l'orbita della Luna attorno alla Terra e l'orbita di questa attorno al Sole sono tutte in senso antiorario.

Rispetto agli altri satelliti del sistema solare, la Luna è eccezionalmente grande rispetto al pianeta attorno a cui orbita, tanto che il sistema Terra-Luna può essere quasi considerato un pianeta doppio ("quasi" perché il centro di gravità del sistema Terra-Luna è comunque di poco all'interno della Terra). In genere, satelliti di dimensioni a lei comparabili orbitano attorno ai giganti gassosi (Giove, Saturno), mentre i pianeti più affini alla Terra o non hanno satelliti (Venere) o ne hanno di minuscoli (Marte).

Il piano dell'orbita della Luna è inclinato di 5°19' rispetto a quello dell'orbita della Terra intorno al Sole (il piano dell'eclittica). Il piano orbitale della Luna, assieme al suo asse di rotazione, ruota in senso orario con un periodo di 18,6 anni, sempre mantenendo un'inclinazione di 5 gradi; questo movimento è correlato alle nutazioni terrestri, che possiedono infatti lo stesso periodo. I punti dove l'orbita lunare interseca l'eclittica sono chiamati i nodi lunari. Le eclissi solari accadono quando un nodo coincide con una luna nuova; le eclissi lunari quando un nodo coincide con una luna piena.

Le ere geologiche della Luna vengono definite in base alla datazione di alcuni crateri che hanno avuto un effetto significativo sulla sua storia.

Le forze di marea che oggi causano le maree terrestri erano attive anche quando la Luna era in via di formazione, ed ancora fusa. Poi si raffreddò e si solidificò, ma mantenne la forma di un ellissoide con l'asse maggiore puntato verso la Terra.


PRESENZA DI ACQUA

La Luna per gran parte della sua storia antica è stata bombardata da comete e asteroidi, molte delle quali ricche d'acqua. L'energia della luce solare divide la maggior parte di quest'acqua nei suoi elementi costituenti, idrogeno ed ossigeno, di cui la maggior parte si disperde immediatamente nello spazio. È stato però ipotizzato che quantità significative di acqua possano rimanere sulla Luna, o sulla superficie, o inglobate nella crosta. I risultati della sonda Clementine suggerirono che nelle zone permanentemente in ombra della crosta si possano trovare piccole zone ghiacciate, che non hanno occasione di sciogliersi. Anche se queste zone sono probabilmente piccole, la quantità d'acqua totale potrebbe essere notevole: un miliardo di metri cubi, all'incirca il volume del lago Erie.

Alcune molecole d'acqua, inoltre, potrebbero essere direttamente approdate alla superficie e rimaste intrappolate dentro i crateri dei poli lunari. A causa della modesta inclinazione dell'asse di rotazione lunare (solo 1,5°), alcuni dei crateri polari più profondi non ricevono mai luce dal Sole, rimanendo sempre in ombra. È in questi crateri che gli scienziati si aspettano di trovare acqua, sempre che ce ne sia. Se fosse trovata, l'acqua (sotto forma di ghiaccio) potrebbe essere estratta e quindi divisa in idrogeno ed ossigeno da generatori ad energia solare. La presenza di quantità utilizzabili di acqua sulla Luna potrebbe essere un fattore importante nel rendere possibile la sua colonizzazione, perché il trasporto dalla Terra sarebbe estremamente costoso.

CAMPO MAGNETICO
Il campo magnetico della Luna è molto debole a paragone di quello terrestre. Si pensa che una parte di esso sia intrinseco (come in una parte della crosta lunare chiamata Rima Sirsalis), mentre le collisioni con altri corpi celesti possono averne formata un'altra parte. In effetti, una delle questioni ancora aperte nella scienza planetaria è se un corpo senz'aria, come la Luna, possa ottenere un campo magnetico da impatti con comete ed asteroidi. Le misurazioni del campo magnetico possono dare inoltre informazioni sulla dimensione e la conduttività elettrica del nucleo lunare, fornendo quindi dati per una migliore teoria dell'origine della Luna. Per esempio, se il nucleo contenesse una proporzione maggiore di elementi magnetici (come il ferro) rispetto a quella terrestre, la teoria della nascita per impatto perderebbe credito (anche se potrebbero esistere spiegazioni alternative per questo fatto).

Sopra tutta la crosta lunare si stende uno strato esterno di roccia polverosa, chiamata regolite. Sia la crosta che la regolite sono distribuite in modo irregolare, l'una con uno spessore da 60 a 100 chilometri, l'altra passando da 3-5 metri nei mari fino a 10-20 metri sulle alture. Gli scienziati pensano che queste asimmetrie siano sufficienti per spiegare lo spostamento del centro di massa della Luna. L'asimmetria della crosta potrebbe anche spiegare la differenza nei terreni lunari, che sono formati principalmente da mari sulla faccia vicina, e rocce sulla parte lontana.

ATMOSFERA

La Luna non ha un'atmosfera propriamente detta. I pochi atomi che derivano dal degassamento (il rilascio di gas, come il radon, da parte delle rocce che compongono la Luna), e dal vento solare, che viene brevemente catturato dalla gravità lunare, non vengono trattenuti dalla gravità del satellite, quindi non si può parlare di una vera atmosfera.

OSSERVAZIONI DA TERRA

Grazie a quella che sembra essere una straordinaria coincidenza, le grandezze apparenti della Luna e del Sole, visti dalla Terra, sono comparabili. Per effetto della variazione delle distanze Luna-Terra e Terra-Sole, dovute all'eccentricità delle rispettive orbite, la dimensione apparente della Luna vista dalla superficie terrestre varia da un valore leggermente inferiore a un valore leggermente superiore a quello del diametro apparente del Sole: questo fatto rende possibili, oltre che le eclissi solari parziali, anche eclissi solari totali, anulari e miste. La Luna (e anche il Sole) sembra più grande quando è vicina all'orizzonte. Questa è un'illusione ottica provocata dall'effetto psicologico della diversa percezione delle distanze verso l'alto e in orizzontale. In realtà, la rifrazione atmosferica e la distanza leggermente maggiore rendono l'immagine della Luna un poco più piccola all'orizzonte rispetto al resto del cielo.

Varie aree chiare e scure creano immagini che sono interpretate nelle varie culture come l'Uomo della Luna, oppure il coniglio e il bufalo, e altre; il fenomeno è indicato col nome di pareidolia Al telescopio si possono riconoscere catene di montagne e crateri. Le pianure, scure e relativamente spoglie di dettagli, sono chiamate mari lunari, oppure maria in Latino, perché erano credute corpi d'acqua dagli astronomi antichi. Le parti più chiare ed elevate sono chiamate terre, o terrae.

Durante le lune piene più brillanti, la Luna raggiunge una magnitudine apparente di circa -12,6. Per confronto, il Sole ha una magnitudine apparente di -26,8 mentre Sirio, la stella più brillante, di solo -1,4.

LUNA ROSSA

A volte capita di vedere la Luna che, nel momento in cui sorge, possiede un colore rossastro. Tutto ciò avviene poiché la sua luce (che proviene dal Sole e che è reindirizzata sulla Terra) deve attraversare uno strato atmosferico più ampio rispetto a quello che trova nel momento in cui è più alta nel cielo. Così, le radiazioni emanate con la sua luce, si trovano a dover oltrepassare una serie maggiore di polveri e turbolenze dell'aria, le quali disperdono questi raggi luminosi, attraverso il fenomeno della diffusione. Queste polveri, però, tendono a disperdere più facilmente i raggi con frequenze più elevate (di colore blu), mentre non disperdono, quasi per nulla, i raggi con frequenze più basse (di colore rosso). Perciò noi vediamo la luna rossa, perché la componente rossa della sua luce non viene dispersa e arriva diretta ai nostri occhi.

lunedì 27 luglio 2009

Le comete.

Una cometa è un oggetto celeste relativamente piccolo, simile ad un asteroide ma composto prevalentemente di ghiaccio. Nel Sistema solare, le orbite delle comete si estendono oltre quelle di Plutone. Le comete che entrano nel sistema interno, e si rendono quindi visibili ai nostri occhi, hanno spesso orbite ellittiche. Spesso descritte come "palle di neve sporche", le comete sono composte per la maggior parte di sostanze volatili come biossido di carbonio, metano e acqua ghiacciati, con mescolati aggregati di polvere e vari minerali. La sublimazione delle sostanze volatili quando la cometa è in prossimità del Sole causa la formazione della chioma e della coda.

Si pensa che le comete siano dei residui rimasti dalla condensazione della nebulosa da cui si formò il Sistema solare: le zone periferiche di tale nebulosa sarebbero state abbastanza fredde da permettere all'acqua di trovarsi in forma solida (invece che come gas). È sbagliato descrivere le comete come asteroidi circondati da ghiaccio: i bordi esterni del disco di accrescimento della nebulosa erano così freddi che i corpi in via di formazione non subirono la differenziazione sperimentata da corpi in orbite più vicine al Sole.

CARATTERISTICHE FISICHE

NUCLEO

I nuclei cometari possono variare in dimensione dalle centinaia di metri fino a quaranta e più chilometri e sono composti da roccia, polvere e ghiacci d'acqua e di altre sostanze, comunemente presenti sulla Terra allo stato gassoso, quali monossido di carbonio, anidride carbonica, metano ed ammoniaca.[1] Sono popolarmente descritti come "palle di neve sporca", sebbene osservazioni recenti hanno rivelato forme irregolari[2] e superfici secche di polveri o rocce, suggerendo che i ghiacci siano nascosti sotto la crosta. Le comete sono composte inoltre da una varietà di composti organici: oltre ai gas già menzionati, sono presenti metanolo, acido cianidrico, formaldeide, etanolo ed etano ed anche, forse, molecole più complesse come lunghe catene di idrocarburi e amminoacidi.[3][4][5]

Ironicamente, i nuclei cometari sono tra gli oggetti del Sistema solare più scuri conosciuti: alcuni sono più neri del carbone.[2] La sonda Giotto scoprì che il nucleo della Cometa di Halley riflette circa il 4% della luce con cui viene illuminato,[6] e la sonda Deep Space 1 scoprì che la superficie della cometa Borrelly riflette una percentuale tra il 2,4% e il 3%. Per confronto,[6] il normale asfalto stradale riflette il 7% della luce incidente. Si pensa che il colore scuro derivi dai composti organici che dovrebbero abbondare in superficie: il riscaldamento solare porta via ghiacci ed elementi volatili, lasciando solo molecole pesanti organiche, che tendono ad essere molto scure, come sulla Terra il bitume o il petrolio grezzo. Paradossalmente, il colore scuro del nucleo è il motore della formazione della coda, perché solo così il nucleo riesce ad assorbire il calore necessario ad alimentare il processo.

Nel Sistema solare esterno le comete rimangono in uno stato congelato ed è estremamente difficile o impossibile rilevarle da Terra a cause delle loro ridotte dimensioni. Sono state riportate rilevazioni statistiche da parte del Telescopio spaziale Hubble di nuclei cometari non attivi nella fascia di Kuiper,[7][8] sebbene le identificazioni siano state messe in discussione,[9][10] e non abbiano ancora ricevuto delle conferme indipedenti.

CHIOMA E CODA

Quando una cometa si avvicina al Sistema solare interno, il calore del Sole fa sublimare i suoi strati di ghiaccio più esterni. Le correnti di polvere e gas prodotte formano una grande, ma rarefatta atmosfera attorno al nucleo, chiamata chioma, mentre la forza esercitata sulla chioma dalla pressione di radiazione del Sole, e soprattutto dal vento solare, conducono alla formazione di un enorme coda che punta in direzione opposta al Sole.

Chioma e coda risplendono sia per riflessione diretta della luce incidente, sia in conseguenza della ionizzazione dei gas per effetto del vento solare. Sebbene la maggior parte delle comete sia troppo debole per essere osservata senza l'ausilio di un binocolo o di un telescopio, una manciata ogni decade diventa ben visibile ad occhio nudo. Occasionalmente una cometa può sperimentare una enorme ed improvvisa esplosione di gas e polveri, indicata comunemente con il termine inglese outburst. Nella fase espansiva seguente la chioma può raggiungere dimensioni ragguardevoli. Nel novembre del 2007 per la chioma della Cometa Holmes è stato stimato un diametro di 1,4 milioni di chilometri, pari a quello del Sole [11]. Per un brevissimo periodo, la cometa ha posseduto l'atmosfera più estesa del Sistema solare.

Spesso polveri e gas formano due code distinte, che puntano in direzioni leggermente differenti: la polvere, più pesante, rimane indietro rispetto al nucleo e forma spesso una coda incurvata, che si mantiene sull'orbita della cometa; il gas, più sensibile al vento solare, forma una coda diritta, in direzione opposta al Sole, seguendo le linee del campo magnetico locale piuttosto che traiettorie orbitali. Viste prospettiche da Terra possono determinare configurazioni in cui le due code si sviluppano in direzioni opposte rispetto al nucleo;[12] oppure in cui la coda di polveri, più estesa, appare ad entrambi i lati di esso. In questo casi si dice che la cometa possiede una coda ed un'anti-coda. Un esempio recente ne è stata la Cometa Lulin.

Mentre il nucleo è generalmente inferiori ai 50 km di diametro, la chioma può superare le dimensioni del Sole e sono state osservate code ioniche di estensione superiore ad 1 UA (150 milioni di km).[13] È stato proprio grazie all'osservazione della coda di una cometa, disposta in direzione opposta al Sole, che Ludwig Biermann ha contribuito significativamente alla scoperta del vento solare.[14] Sono comunque estremamente tenui, tanto che è possibile vedere le stelle attraverso di esse.

La coda ionica si forma per effetto fotoelettrico, come risultato dell'azione della radiazione solare ultravioletta incidente sulla chioma. La radiazione incidente è sufficientemente energetica da superare l'energia di ionizzazione richiesta dalle particelle degli strati superiori della chioma, che vengono trasformate così in ioni. Il processo conduce alla formazione di un nuvola di particelle cariche positivamente intorno alla cometa che determina la formazione di una "magnetosfera indotta", che costituisce un ostacolo per il moto del vento solare. Poiché inoltre la velocità relativa tra il vento solare e la cometa è supersonica, a monte della cometa e nella direzione di flusso del vento solare si forma un bow shock, nel quale si raggruppa un'elevata concentrazione degli ioni cometari (chiamati "pick up ions"[15]). Il vento solare ne risulta arricchito di plasma in modo che le linee di campo "drappeggiano" attorno alla cometa formando la coda ionica.[16]
Se l'intensità del vento solare aumenta ad un livello sufficiente, le linee del campo magnetico ad esso associato si stringono attorno alla cometa e ad una certa distanza lungo la coda, oltrepassata la chioma, si verifica la riconnessione magnetica. Ciò conduce an "evento di disconnessione della coda":[16] la coda perde la propria continuità (si "spezza") e la porzione oltre la disconnessione si disperde nello spazio. Sono state osservate diverse occorrenze di tali eventi. Degna di nota è la disconnessione della coda della Cometa Encke avvenuta il 20 aprile del 2007, quando la cometa è stata investita da un'espulsione di massa coronale. L'osservatorio orbitante solare STEREO-A registrò alcune immagini dell'evento, che, montate a costituire una sequenza, sono visibili qui a lato.[17]

L'osservazione della Cometa Hyakutake nel 1996 ha condotto alla scoperta che le comete emettono raggi X.[18] La scoperta destò sorpresa tra gli astronomi, che non avevano previsto che le comete potessero emetterne. Si ritiene che i raggi X siano prodotti dall'interazione tra le comete ed il vento solare: quando ioni con carica elevata attraversano un'atmosfera cometaria, collidono con gli atomi e le molecole che la compongono. Nella collisione, gli ioni catturano uno o più elettroni emettendo nello stesso tempo raggi X e fotoni nel lontano ultravioletto.[19]

ORBITE

La maggior parte delle comete seguono orbite ellittiche molto allungate che le portano ad avvicinarsi al Sole per brevi periodi ed a permanere nelle zone più lontane del Sistema solare per la restante parte. Le comete sono usualmente classificate in base alla lunghezza del loro periodo orbitale.

Sono definite comete di corto periodo quelle che hanno un periodo orbitale inferiore a 200 anni. La maggior parte di esse percorre orbite che giaciono in prossimità del piano dell'eclittica, con lo stesso verso di percorrenza dei pianeti. Tali orbite sono generalmente caratterizzate da un afelio posto nella regione dei pianeti esterni (dall'orbita di Giove in poi). Per esempio, l'afelio dell'orbita della Cometa di Halley si trova poco oltre l'orbita di Nettuno. All'estremo opposto, la Cometa Encke percorre un'orbita che non la porta mai ad oltrepassare quella di Giove. Le comete periodiche sono a loro volta suddivise nella famiglia cometaria di Giove (comete con periodo inferiore ai 20 anni) e nella famiglia cometaria di Halley (comete con periodo compreso tra i 20 ed i 200 anni).
Le comete di lungo periodo percorrono orbite con elevate eccentricità e con periodi compresi tra 200 e migliaia o anche milioni di anni. (Comunque, per definizione, rimangono gravitazionalmente legate al Sole; non è possibile parlare propriamente di periodo, infatti, in riferimento a quelle comete che sono espulse dal Sistema solare in seguito all'incontro ravvicinato con un pianeta). Le loro orbite sono caratterizzate da afelii posti molto oltre la regione dei pianeti esterni ed i piani orbitali presentano una grande varietà di inclinazioni rispetto al piano dell'eclittica.
Le comete extrasolari (in inglese, Single-apparition comets - comete da una singola apparizione) percorrono orbite paraboliche o iperboliche che le portano ad uscire permanentemente dal Sistema solare dopo esser passate una volta in prossimità del Sole.[20]
Alcune fonti utilizzano la locuzione cometa periodica per riferirsi ad ogni cometa che percorra un'orbita chiusa (cioè, tutte le comete di corto periodo e quelle di lungo periodo),[21] mentre altre la utilizzano esclusivamente per le comete di corto periodo.[20] Similmente, sebbene il significato letterale di cometa non periodica sia lo stesso di cometa da una singola apparizione, alcuni lo utilizzano per riferirsi a tutte le comete che non sono "periodiche" nella seconda accezione del termine (cioè, includendo tutte le comete con un periodo superiore a 200 anni).
Comete recentemente scoperte nella fascia principale degli asteroidi (cioè corpi appartenenti alla fascia principale che manifestano attività cometaria durante una parte della loro orbita), percorrono orbite semi-circolari e sono state classificate in una classe a sé.[22][23]
Esistono infine le comete radenti (in inglese sono chiamate sun-grazing - che sfiorano il Sole), dal perielio così vicino al Sole che sfiorano letteralmente la superficie solare. Queste comete hanno breve vita, perché l'intensa radiazione solare le fa evaporare in pochissimo tempo. Sono, inoltre, difficili da osservare, a causa dell'intensa luce solare molto vicina: per osservarle occorre usare strumenti speciali come un coronografo, usare un filtro a banda molto stretta, osservarle durante un eclissi totale di Sole, o osservarle con un satellite.
Da considerazioni sulle caratteristiche orbitali, si ritiene che le comete di corto periodo (decine o centinaia di anni) provengano dalla fascia di Kuiper o dal disco diffuso - un disco di oggetti nella regione transnettuniana - mentre si ritiene che il serbatoio delle comete a lungo periodo sia la ben più distante nube di Oort (una distribuzione sferica di oggetti che costituisce il confine del Sistema solare, la cui esistenza è stata ipotizzata dall’astronomo danese Jan Oort).[24] È stato ipotizzato che in tali regioni distanti, un gran numero di comete orbiti intorno al Sole su orbite quasi circolari. Occasionalmente l'influenza gravitazionale dei pianeti esterni (nel caso degli oggetti presenti nella fascia di Kuiper) o delle stelle vicine[25] (nel caso di quelli presenti nella nube di Oort) sposta uno di questi oggetti su un'orbita altamente ellittica che lo porta a tuffarsi verso le regioni interne del Sistema solare, dove appare come una vistosa cometa. Altre teorie ipotizzate nel passato prevedevano l'esistenza di una compagna sconosciuta del Sole chiamata Nemesi, o un ipotetico Pianeta X. A differenza del ritorno delle comete periodiche le cui orbite sono state determinate durante i transiti precedenti, non è predicibile la comparsa di una nuova cometa tramite questo meccanismo.

Poiché le orbite percorse portano le comete in prossimità dei giganti gassosi, esse sono soggette ad ulteriori perturbazioni gravitazionali. Le comete di corto periodo mostrano la tendenza di regolarizzare il proprio afelio e portarlo a coincidere con il raggio orbitale di uno dei pianeti giganti; un chiaro esempio di questo fenomeno è l'esistenza della famiglia cometaria di Giove. È chiaro inoltre che anche le orbite delle comete provenienti dalla nube di Oort possono essere fortemente alterate dall'incontro con un gigante gassoso. Giove è la principale fonte di perturbazioni, possedendo una massa quasi doppia rispetto a tutti gli altri pianeti messi assieme, oltre al fatto che è anche il pianeta gigante che completa la propria orbita più rapidamente. Queste perturbazioni possono trasferire a volte comete di lungo periodo su orbite con periodi orbitali più brevi (la Cometa di Halley ne è un esempio).

È interessante osservare che l'orbita che viene determinata per una cometa è un'orbita osculatrice, che non tiene conto delle perturbazioni gravitazionali e non a cui può essere soggetta la cometa. Un esempio ne è il fatto che le orbite delle comete di corto periodo rivelano piccole variazioni dei parametri orbitali ad ogni transito. Ancora più significativo è quanto accade per le comete di lungo periodo. Per molte di esse viene calcolata un'orbita parabolica o iperbolica considerando la massa del Sole concentrata nel suo centro; se però l'orbita viene calcolata quando la cometa è oltre l'orbita di Nettuno ed assegnando all'attrattore principale la massa presente nelle regioni più interne del Sistema solare concentrata nel centro di massa del Sistema solare (prevalentemente del sistema composto dal Sole e da Giove), allora la stessa orbita risulta ellittica.[21] La maggior parte della comete paraboliche ed iperboliche appartengono quindi al Sistema solare. Una cometa proveniente dallo spazio interstellare dovrebbe invece essere identificabile da un valore dell'energia orbitale specifica nettamente positivo, corrispondente ad una velocità di attraversamento del Sistema solare interno di poche decine di km/s. Una stima approssimativa del numero di tali comete potrebbe essere di quattro per secolo.

Alcune comete periodiche scoperte nel secolo scorso sono "perdute". Per alcune di esse, le osservazioni non permisero di determinare un'orbita con la precisione necessaria a predirne il ritorno. Di altre, invece, è stata osservata la frantumazione del nucleo. Quello che può essere stato il loro destino sarà descritto in una sezione successiva. Tuttavia, occasionalmente una "nuova" cometa scoperta presenta parametri orbitali compatibili con una cometa perduta. Esempi ne sono le comete 11P/Tempel-Swift-LINEAR, scoperta nel 1869, perduta dopo il 1908 in seguito ad un incontro ravvicinato con Giove e riscoperta nel 2001 nell'ambito del programma automatizzato per la ricerca di asteroidi LINEAR del Lincoln Laboratory,[26] e la 206P/Barnard-Boattini, scoperta nel 1892 grazie all'utilizzo della fotografia, perduta per più di un secolo e riscoperta nel 2008 dall'astronomo italiano Andrea Boattini.

LA MORTE DELLE COMETE

Le comete hanno vita relativamente breve. I ripetuti passaggi vicino al Sole le spogliano progressivamente degli elementi volatili, fino a che la coda non si può più formare, e rimane solo il materiale roccioso. Se questo non è abbastanza legato, la cometa può semplicemente svanire in una nuvola di polveri. Se invece il nucleo roccioso è consistente, la cometa è adesso diventata un asteroide inerte, che non subirà più cambiamenti.

La frammentazione delle comete può essere attribuita essenzialmente a tre effetti: all'urto con un meteorite, ad effetti mareali di un corpo maggiore, quale conseguenza dello shock termico derivante da un repentino riscaldamento del nucleo cometario. Spesso episodi di frantumazione seguono fasi di intensa attività della cometa, indicate col termine inglese outburst. La frammentazione può comportare un aumento della superficie esposta al Sole e può risolversi in un rapido processo di disgregazione della cometa. L'osservazione della frammentazione del nucleo della cometa periodica Schwassmann-Wachmann 3 ha permesso di raccogliere nuovi dati su questo fenomeno [27].


Alcune comete possono subire una fine più violenta: cadere nel Sole oppure entrare in collisione con un pianeta, durante le loro innumerevoli orbite che percorrono il Sistema solare in lungo e in largo. Le collisioni tra pianeti e comete sono piuttosto frequenti su scala astronomica: la Terra incontrò una piccola cometa nel 1908, che esplose nella taiga siberiana causando l'evento di Tunguska, che rase al suolo migliaia di chilometri quadrati di foresta. Nel 1910 la Terra passò attraverso la coda della Cometa di Halley, ma le code sono talmente immateriali che il nostro pianeta non subì il minimo effetto.

Nel 1994, la cometa Shoemaker-Levy 9 passò troppo vicino a Giove e rimase catturata dalla gravità del pianeta. Le forze di marea causate dalla gravità spezzarono il nucleo in una decina di pezzi, i quali poi bombardarono il pianeta nelle settimane seguenti offrendo viste spettacolari ai telescopi di mezzo mondo, da tempo in all'erta per seguire l'evento. Divenne immediatamente chiaro il significato di strane formazioni che si trovano sulla Luna e su altri corpi rocciosi del Sistema solare: catene di piccoli crateri, posti in linea retta uno dopo l'altro. È evidente che una cometa passò troppo vicino al nostro pianeta, ne rimase spezzata, ed andò a finire contro la Luna causando la catena di crateri.

La collisione di una grossa cometa con la Terra sarebbe un disastro immane se avvenisse vicino ad una grande città, perché causerebbe sicuramente migliaia, se non milioni di morti. Fortunatamente, seppur frequenti su scala astronomica, tali eventi sono molto rari su scala umana, e i luoghi densamente abitati della Terra sono ancora molto pochi rispetto alle vaste aree disabitate o coperte dai mari.

PORTATRICI DI VITA?

Sette articoli pubblicati sulla rivista Science (Volume 314, Issue 5806, 2006) da un team di scienziati internazionali, tra i quali sette italiani, annunciano la scoperta nei grani di polvere della cometa Wild 2 di lunghe molecole organiche, di ammine precursori di quelle organiche, come il Dna. La sonda Stardust, dopo aver percorso 4,6 miliardi di km in circa sette anni ha catturato un centinaio di grani ognuno piccolo meno di un millimetro.

I grani sono stati catturati il 2 gennaio 2004 dalla coda della cometa Wild 2 con una speciale filtro in aerogel, una sostanza porosa dall'aspetto lattiginoso. Gli scienziati autori della scoperta, tra cui Alessandra Rotundi dell'Università Parthenope di Napoli, ritengono che questa scoperta sia la conferma della panspermia, la teoria secondo la quale molecole portate dalle comete siano alla base dell'origine della vita sulla Terra. È una teoria che nacque nei primi anni del novecento e confermata dalle osservazioni fatte dalla sonda europea Giotto nel 1986 quando si avvicinò alla cometa Halley.

Ad avvalorare questa ipotesi, vi sono anche i tempi rapidi con la quale è comparsa la vita sulla Terra. In poche decine di milioni di anni la situazione sulla Terra è mutata radicalmente e tempi così rapidi si possono spiegare solo con l'ipotesi che a portare gli ingredienti fondamentali alla vita siano state le comete.

domenica 26 luglio 2009

Il nostro mezzo interplanetario: Lo SPACE SHUTTLE

Lo Space Transportation System (termine inglese che tradotto letteralmente significa "sistema di trasporto spaziale"), in sigla STS, comunemente chiamato Space Shuttle, spesso abbreviato in Shuttle, è un modello di navicella spaziale della NASA, l'ente governativo degli Stati Uniti responsabile dei programmi spaziali.
Lo Space Shuttle è l'unico modello di navicella spaziale degli Stati Uniti attualmente in attività e la sua particolarità è la parziale riutilizzabilità, è stato infatti progettato per effettuare in sicurezza circa un centinaio di voli spaziali sostituendo solo alcune parti ausiliarie.
Lo sviluppo e le missioni spaziali dello Space Shuttle sono gestite dal Programma Space Shuttle.

Storia

Lo Shuttle viene varato il 5 gennaio 1972 quando il Presidente Richard Nixon annuncia lo sviluppo di una navetta spaziale riutilizzabile e a basso costo.

Il progetto è ridimensionato per problemi di budget e ciò nonostante viene sviluppato rapidamente e nel corso di alcuni anni sono pronti i prototipi.

Tra questi il primo orbiter completo, inizialmente chiamato Constitution, poi diventato Enterprise in seguito a pressanti richieste dei fan del telefilm Star Trek, che scrissero in massa alla Casa Bianca. L'Enterprise è pronto il 17 settembre 1976 e viene usato per una serie di test di atterraggio che hanno successo e dimostrano la bontà del progetto.

La prima navetta Shuttle messa in opera e costruita a Palmdale, California, è il Columbia, consegnato al Kennedy Space Center il 25 marzo 1979 e lanciato per la prima volta il 12 aprile 1981 con un equipaggio di due uomini. Il Challenger viene consegnato nel luglio del 1982, il Discovery nel novembre del 1983, e l'Atlantis nell'aprile del 1985. Il Challenger viene distrutto in fase di lancio nel gennaio del 1986 provocando la morte dei sette astronauti a bordo. È sostituito dall'Endeavour costruito con parti delle altre navette e consegnato nel maggio del 1991. Il Columbia si disintegra durante il rientro nell'atmosfera il 1 febbraio 2003. Nell'incidente muoiono tutti i sette membri dell'equipaggio.

DESCRIZIONE

Lo Space Shuttle è composto da quattro parti principali:

l'Orbiter Vehicle (in sigla OV): un orbiter con spazio per l'equipaggio, vano di trasporto per il carico, tre motori principali che utilizzano il combustibile presente nei serbatoi esterni, e un sistema di manovra orbitale con due motori più piccoli (OMS);
due Solid Rocket Booster (in sigla SRB): razzi riutilizzabili a propellente solido, il perclorato d'ammonio (NH4ClO4) e l'alluminio, che si staccano due minuti dopo il lancio ad una altezza di 66 km e vengono recuperati nell'oceano grazie al fatto che la velocità di caduta viene notevolmente ridotta da alcuni paracadute;
il Serbatoio Esterno (in sigla ET): un grande serbatoio esterno di combustibile contenente ossigeno liquido (in cima) e idrogeno anch'esso liquido (nella parte bassa) che servono ad alimentare i tre motori principali dell'OV. Si stacca dopo circa 8 minuti e mezzo ad una altitudine di 109 km, esplode in atmosfera e ricade in mare senza che venga poi recuperato.

I progetti iniziali prevedevano serbatoi supplementari sull'orbiter e altre attrezzature che però non furono mai costruite.

Lo Shuttle ha una grande stiva per il carico utile che si estende per buona parte della sua lunghezza. I portelloni della stiva sono provvisti di radiatori montati sulla superficie interna, e vengono tenuti aperti mentre lo Shuttle è in orbita per favorire il controllo termico, che viene mantenuto anche regolando l'orientamento dell'intero Shuttle rispetto alla Terra e al Sole. All'interno della stiva per il carico utile si trova il Sistema di Manipolazione Remota, detto anche Canadarm, un braccio robotizzato impiegato per recuperare e mettere in orbita il carico utile. Sino all'incidente del Columbia, il Canadarm veniva incluso soltanto nelle missioni in cui il suo impiego era richiesto dalla natura della missione stessa. Poiché il braccio è una parte cruciale della procedura di Ispezione della Protezione Termica che è attualmente richiesta per i voli dello Shuttle, in futuro probabilmente verrà incluso in tutti i voli.

Lo Space Shuttle ha subito numerosi miglioramenti nel corso degli anni. L'orbiter ha cambiato il suo sistema di protezione termico diverse volte per ridurre il peso e il carico di lavoro. Le piastrelle di ceramica devono essere controllate dopo ogni volo per trovare eventuali piastrelle rotte; inoltre assorbono umidità e quindi devono essere protette dalla pioggia. Questo inconveniente è stato dapprima risolto spruzzando sulle tegole il prodotto Scotchgard; in seguito è stata sviluppata una soluzione ad hoc. In un secondo tempo molte tegole della sezione dello Shuttle che diventa meno calda sono state sostituite da grandi pannelli di un materiale isolante avente la consistenza del feltro; ciò ha comportato il vantaggio di non dover ispezionare in modo particolarmente accurato zone molto grandi del rivestimento (in particolare la zona del carico).

Internamente lo Shuttle è rimasto in gran parte simile al progetto originale, con l'eccezione dei sistemi di avionica che vengono migliorati continuamente. I sistemi originali erano dei computer IBM modello 360 basati su processori Intel 8086, con sottosistemi di controllo video basati su microcontrollori RCA 1802, collegati a monitor analogici posti nella cabina di pilotaggio, similmente agli attuali aerei di linea modello DC-10. Oggi la cabina di pilotaggio è basata su 5 computer APA-101S ridondanti basati su processori 80386, ed è dotata di sistemi a tutto display. I cinque calcolatori di bordo usano complessivamente circa 2 Mb di memoria RAM a nuclei magnetici, che diversamente dalla normale RAM integrata a transistor è completamente immune alle radiazioni. I computer impiegano il linguaggio di programmazione HAL/S. Come nella tradizione del Progetto Apollo-Sojuz, anche delle calcolatrici programmabili vengono portate a bordo (originariamente si usava il modello Hewlett-Packard 41C). Oltre alla cabina di pilotaggio a tutto display, svariati miglioramenti sono stati adottati per ragioni di sicurezza a seguito della esplosione del Challenger, fra cui una via di fuga per l'equipaggio da utilizzare in situazioni che richiedano un "ammaraggio". Con il sorgere della stazione spaziale, i sistemi a tenuta stagna interni sono stati sostituiti da sistemi di collegamento e attracco esterni, in modo da ottenere una maggiore capacità di carico nel ponte intermedio dello Shuttle da impiegarsi nelle missioni di rifornimento alla Stazione.

I motori principali dello Shuttle sono stati oggetto di parecchi perfezionamenti per migliorare la affidabilità e aumentare la potenza. Ciò spiega come mai durante la procedura di lancio si possono sentire comandi curiosi, come Porta la potenza al 106%; questo non significa che i motori vengano portati oltre il limite: il valore del 100% è il livello di potenza dei motori principali originali. Attualmente, il contratto per la fornitura dei motori prevede un valore del 109%. I motori originali potevano arrivare al 102%; il 109% fu ottenuto nel 2001 con la fornitura Block II.

Nei primissimi lanciatori il serbatoio esterno era verniciato di bianco per proteggere l'isolamento che riveste la maggior parte del serbatoio stesso. Miglioramenti di progetto e misure successive permisero di provare che la verniciatura non era necessaria, permettendo di risparmiare una frazione di peso apprezzabile, aumentando quindi il carico utile che è possibile portare in orbita.

Altre riduzioni di peso sono state ottenute eliminando alcune parti interne nel serbatoio dell'idrogeno che si sono mostrate non necessarie. Ne è risultato un modello di serbatoio esterno leggero che è stato poi adottato nella gran parte delle missioni dello Shuttle. Con il volo STS-91 si è visto l'impiego per la prima volta di un serbatoio esterno superleggero, realizzato con la lega alluminio-litio 2195, più leggero di 3,4 tonnellate rispetto all'ultima generazione di serbatoi leggeri. Poiché lo Shuttle non può volare senza equipaggio, tutti questi miglioramenti sono stati provati durante voli operativi.

Naturalmente, anche i razzi SRB sono stati migliorati. Va notata l'adozione di una terza tenuta ad o-ring nei giunti fra i segmenti in seguito all'incidente del Challenger.

Molti altri miglioramenti agli SRB erano stati pianificati per migliorare le prestazioni e la sicurezza, ma non sono mai stati messi in pratica; erano culminati nel progetto Advanced SRB, che avrebbe dovuto essere prodotto nella metà degli anni novanta, e che sarebbe stato notevolmente più semplice, economico e probabilmente più sicuro a fronte di prestazioni superiori, ma che è stato in seguito cancellato per tagliare i costi dopo che erano già stati investiti 2,2 miliardi di dollari. La cancellazione del progetto Advanced SRB ha portato allo sviluppo del serbatoio esterno superleggero, che dà una parte dell'aumento di carico utile senza miglioramenti dal punto di vista della sicurezza. Inoltre l'aeronautica ha sviluppato un proprio progetto di booster molto più leggero e in un singolo pezzo, ma anche questo è stato cancellato.

LANCIO

Tutte le missioni Shuttle sono lanciate dal Kennedy Space Center (KSC). Lo Shuttle Launch Weather Officer, il responsabile al monitoraggio delle condizioni meteorologiche, controlla la situazione per determinare se il lancio è possibile. In particolare, le condizioni devono essere accettabili anche in almeno un sito per l'atterraggio di emergenza, che viene chiamato Transatlantic Abort Landing site[1]. Sono disponibili diversi siti per l'atterraggio dello Shuttle. Le condizioni meteorologiche accettabili escludono: la presenza di fulmini poiché, nonostante lo Shuttle sia schermato elettricamente attraverso la sua superficie conduttrice (come avviene negli aerei di linea), durante il lancio la scia dei propulsori potrebbe fornire un percorso conduttivo del fulmine verso terra [2]. Inoltre non può essere effettuato il lancio se sono presenti dei Cumulonembi ad incudine (cumulonimbus incus) entro 10 miglia nautiche (18,52 km)[3].

Il giorno del lancio, dopo l'ultima pausa nel conteggio alla rovescia a T - 9 minuti, lo Shuttle inizia i preparativi finali. In questo periodo il conteggio viene controllato automaticamente tramite computer del centro di controllo lancio, da un software chiamato Ground Launch Sequencer. Esso arresta automaticamente il lancio se rileva un problema critico ad un qualunque sistema di bordo del velivolo.

A 16 secondi dal lancio, si attiva il sistema di soppressione del suono chiamato Sound Suppression System. Esso consiste nel riempimento della Mobile Launcher Platform con 1 100 m3 di acqua in modo da proteggere l'orbiter dall'energia acustica e dal riflesso dello scarico dei propulsori[4].

A 10 secondi dal lancio vengono attivati i sistemi di accensione dell'idrogeno sotto ognuno dei tre ugelli dei propulsori dello Shuttle, in modo da sopprimere eventuali gas stagnanti all'interno degli ugelli prima della partenza vera e propria. L'accumulo di questi gas potrebbe infatti provocare un'esplosione al momento dell'accensione. Viene iniziato, tramite le turbopompe dei propulsori principali, il caricamento della camera di combustione con idrogeno ed ossigeno liquidi.

A 6,6 secondi dal lancio vengono accesi i tre propulsori sull'orbiter, in modo sequenziale ad un intervallo di 120 ms. I computer dello Shuttle (GPC) controllano che i propulsori raggiungano il 90% della spinta nominale prima di iniziare l'orientamento finale degli ugelli nella configurazione di lancio[5]. Quando i tre propulsori si accendono, l'enorme calore dello scarico trasforma una grande quantità d'acqua del sistema di soppressione in vapore che si sprigiona dalla piattaforma di lancio. I tre propulsori devono raggiungere il 100% della spinta entro 3 secondi dall'accensione; se tutto procede come previsto, al momento del lancio vengono attivati i razzi a combustibile solido. Una volta accesi, essi non possono essere spenti. Quando anche gli SRB raggiungono una spinta stabile, delle cariche pirotecniche sono detonate attraverso un segnale radio controllato dai computer di bordo per liberare il velivolo dalla piattaforma di lancio[6]. All'accensione, i computer controllano l'accensione attraverso il software chiamato Master Events Controller.
Dopo l'avvio dei propulsori dell'Orbiter, ma mentre i booster sono ancora connessi alla piattaforma di lancio, la differenza di spinta dei tre propulsori provocano lo spostamento dell'intero gruppo di componenti (booster, sebatoio e orbiter) di 2 metri. Poco dopo aver superato la torre della piattaforma di lancio, lo Shuttle inizia una manovra di rotazione per impostare l'inclinazione orbitale. Il veicolo sale nell'atmosfera compiendo un arco, accelerando man mano che il peso dei booster e del serbatoio diminuiscono. Quando si trova in orbita ad una altezza di circa 380 km è di 7,68 km/s (27 650 km/h, circa Mach 23 a livello del mare).

Il punto, chiamato Max Q, è quello in cui lo Shuttle subisce la massima pressione aerodinamica, e per questo motivo la spinta dei tre propulsori è temporaneamente diminuita per evitare stress alla struttura, particolarmente vulnerabile in alcune zone come le ali. In questo punto avviene un fenomeno noto come singolarità di Prandtl-Glauert: il velivolo effettua la transizione a velocità supersonica e si formano delle nubi di condensazione attorno ad esso.

Dopo 126 secondi dal lancio i booster sono esauriti e vengono distaccati dal velivolo attraverso l'attivazione di cariche esplosive e dei piccoli razzi di separazione, che spingono i booster lontani dal resto del velivolo. Essi rientrano nell'atmosfera e sono rallentati da un sistema di paracadute fino all'ammaraggio nell'oceano. Lo Shuttle inizia ad accelerare verso l'orbita con i tre propulsori. A questo punto il velivolo ha un rapporto spinta-peso inferiore a 1 — ovvero i propulsori hanno spinta insufficiente per contrastare la forza di gravità e la velocità verticale diminuisce temporaneamente. Tuttavia, il peso del propellente diminuisce man mano che viene bruciato dai propulsori, quindi il rapporto spinta-peso torna ad essere maggiore di 1 e aumenta l'accelerazione dello Shuttle (sempre più leggero) verso l'orbita.

La traiettoria a questo punto è molto piatta e quasi orizzontale, utilizzando la spinta per accelerare orizzontalmente. A circa 5 minuti e 45 secondi dopo la partenza, l'orbiter ruota per orientare le antenne di comunicazione verso i satelliti.

Nelle ultime decine di secondi di spinta dei propulsori, la massa del velivolo è sufficientemente bassa da richiede la diminuzione della potenza di questi ultimi per limitare l'accelerazione a 3 g, per evitare un eccessivo stress fisico all'equipaggio.

I tre propulsori vengono spenti prima dell'esaurimento completo del carburante, poiché se fossero attivi in assenza di carburante si danneggerebbero gravemente. La quantità di ossigeno si esaurisce prima dell'idrogeno, poiché l'ossigeno liquido tende a reagire violentemente. Il serbatoio esterno viene rilasciato attraverso cariche esplosive. Esso precipita nell'atmosfera disintegrandosi nell'atmosfera, generalmente sopra l'Oceano Indiano. La distruzione è agevolata dalla presenza di idrogeno al suo interno, che lo fa letteralmente esplodere, in modo da limitare la grandezza dei frammenti in caduta.

L'orbiter attiva i propulsori Orbital maneuvering system (OMS) per sollevarsi maggiormente e distaccarsi dal serbatoio. Nelle missioni verso la stazione spaziale i propulsori di manovra vengono attivati quando i propulsori principali sono ancora in funzione. In questo modo l'orbiter è in un percorso che, nel caso di malfunzionamento dei propulsori, lo riporterebbe in un sentiero di ritorno verso la terra.

RIENTRO E ATTERRAGGIO

Quasi tutte le procedure di rientro atmosferico dello Shuttle sono controllate dai computer, anche se è sempre possibile accedere ai controlli manuali in caso di emergenza. L'avvicinamento e l'atterraggio possono essere controllate dal pilota automatico, ma normalmente sono effettuate dai piloti.

Il veicolo inizia il rientro attivando i propulsori OMS di manovra, mentre vola "sottosopra" e con la coda dell'orbiter in direzione del movimento. L'attivazione dura 3 minuti, e riduce la velocità dello Shuttle di circa 90 m/s. In questo modo lo Shuttle abbassa il suo perigeo verso l'atmosfera superiore. Successivamente ruota su se stesso, ponendo la prua verso l'alto.

La densità dell'aria inizia a manifestare i suoi effetti quando il velivolo si trova a 400.000 piedi (121.920 m) di altezza, e ha una velocità di 8,2 km/s (Mach 25). Il veicolo in quel momento è controllato dai propulsori del Reaction Control System e dalle superfici di volo, in modo da mantenere un assetto di 40°. Questa posizione produce un notevole attrito, che non solo rallenta l'orbiter fino a raggiungere una velocità di atterraggio e per diminuire il riscaldamento esterno. Inoltre, il veicolo effettua un percorso con curve a "S" con angolo di virata di 70°.

Il rapporto massimo di planata (rapporto resistenza-portanza) muta considerevolmente con la velocità, passando da 1:1 a velocità ipersoniche, 2:1 a velocità supersoniche fino a raggiungere 4.5:1 in volo subsonico durante l'avvicinamento e l'atterraggio[7].

Nell'atmosfera inferiore l'orbiter si sposta come un "aliante", tranne per la velocità di discesa considerevolmente più elevata (50 m/s).

Quando ha rallentato a circa Mach 3, vengono attivate due sonde sulla parte destra e sinistra della fusoliera inferiore dell'orbiter, per misurare la pressione atmosferica in relazione al movimento del veicolo.

Quando inizia la fase di avvicinamento e atterraggio, l'orbiter si trova a 3 000 m di altezza e ad una distanza di 12 km dalla pista. I piloti applicano i freni aerodinamici per rallentare il velivolo da 682 km/h a circa 346 km/h (velocità finale di atterraggio). Il carrello di atterraggio viene fatto scendere quando l'orbiter si muove a 430 km/h. Quando le ruote toccano la pista, per aiutare i freni, viene dispiegato un paracadute che si distacca quando ha rallentato l'orbiter a circa 110 km/h.

Dopo l'atterraggio, il veicolo si arresta sulla pista per diversi minuti in modo da disperdere i velenosi vapori di idrazina, utilizzata come carburante sia nel reaction control system che nelle tre auxiliary power unit. Inoltre è necessario attendere un certo periodo di tempo per far raffreddare la fusoliera esterna prima di poter far scendere gli astronauti.

LO SHUTTLE IN RETROSPETTIVA

Al successo dello shuttle come veicolo di lancio non è corrisposto un ugual successo nel ridurre i costi di lancio, che ammontano a circa 500 milioni di dollari per lancio invece dei previsti 10-20 milioni.

La missione originale dello Shuttle è di operare ad alta quota al minor costo e maggior livello di sicurezza possibile, consentendo un notevole miglioramento rispetto alla precedente generazione di capsule spaziali non riutilizzabili con e senza equipaggio. Ma pur essendo il primo sistema di lancio riutilizzabile operativo al mondo, il progetto può essere considerato piuttosto fallimentare, per non aver apportato i miglioramenti pianificati. Benché il progetto fosse radicalmente diverso da quello iniziale, si pensò che potesse soddisfare le richieste dell'Aeronautica americana riducendo al contempo i costi, ma si verificarono dei problemi. Uno di questi è stata l'inflazione, molto elevata durante gli anni settanta, che ha comportato un aumento dei costi del 200% nel decennio, rispetto ad un aumento del 34% tra il 1990 e il 2000. L'effetto sulla crescita dei costi di sviluppo dello Shuttle è evidente. Però l'inflazione non spiega per intero il livello effettivo dei costi di gestione. Anche tenuto conto dell'inflazione, infatti, ogni lancio dello Shuttle dovrebbe costare oggi 100 milioni di dollari. La spiegazione sta nei dettagli operativi collegati alla manutenzione e all'assistenza della flotta di Shuttle, che si sono rivelati enormemente più costosi del previsto.

Lo Shuttle viene concepito per operare come un aereo di linea, nella fase finale di rientro. Dopo l'atterraggio l'Orbiter deve essere controllato e poi riunito al resto del sistema (ET e SRB) e dovrebbe essere pronto a un nuovo lancio nel giro di due settimane. Invece questo processo dura mesi a causa di più severi standard di manutenzione, richiesti dopo la perdita del Challenger, che impongono continui aggiornamenti nel processo di controllo.

Ora anche i compiti più semplici richiedono quantità incredibili di documentazione. Questa documentazione si rende necessaria per il fatto che lo Space Shuttle è dotato di equipaggio e non ha sistemi di fuga, perciò ogni incidente che causasse una perdita di uno dei booster causerebbe anche la morte dell'equipaggio, il che è ovviamente inaccettabile. Di conseguenza l'obiettivo principale del programma Shuttle è riportare l'equipaggio sulla Terra in condizioni di sicurezza, cosa che contrasta con gli altri obiettivi, e in particolare quello di mantenere bassi i costi. Inoltre, poiché ci sono casi in cui non si può terminare prematuramente la missione in modo controllato, esistono tipologie di guasti che non ci si può permettere diventino critici; quindi molti componenti devono semplicemente funzionare alla perfezione, e quindi devono essere ispezionati accuratamente prima di ciascun volo. Il risultato è che le ore di lavoro necessarie per un volo sono aumentate in modo massiccio; 25.000 persone lavorano alle operazioni dello shuttle (e questo dato potrebbe non essere del tutto aggiornato). I progettisti per il futuro sono orientati verso sistemi a un solo stadio, verifiche di idoneità al volo automatiche, e, in alcuni casi, sistemi a bassa tecnologia sovradimensionati per aumentarne la durata.

L'aspetto peggiore della storia del sistema shuttle è il ruolo dell'Aeronautica. Sebbene debba essere considerata responsabile la NASA per aver promosso il coinvolgimento dell'Aeronautica, è stata quest'ultima che ha richiesto le prestazioni che hanno portato il sistema alla complessità e al costo attuale. Ironicamente, né la NASA né l'aeronautica hanno ottenuto il sistema che volevano (o di cui avevano bisogno) e l'Aeronautica a un certo punto ha gettato la spugna ed è ritornata al suo vecchio sistema di lanciatori, abbandonando anche il progetto del lanciatore riutilizzabile Vandenburg.

Le prestazioni che hanno più pesato nel rendere zoppicante il sistema shuttle (carico utile da 29 tonnellate; stiva per il carico utile di grande capacità; estensione operativa di 1600 km) in effetti non sono mai state utilizzate, con l'eccezione della stiva per il carico utile.

IL SOSTITUTO DELLO SHUTTLE

L'uso dei tre Shuttle rimasti in attività dovrebbe terminare nel 2010 quando la Stazione Spaziale Internazionale sarà completata. Pochi anni dopo inizieranno i primi voli della nuova navicella Orion assieme ai nuovi vettori Ares I e Ares V del Programma Constellation. Questa nuova generazione di velivoli permetterà agli astronauti di giungere sulla Stazione Spaziale Internazionale e riprendere l'esplorazione umana della Luna, fino eventualmente a giungere su Marte. Uno Space Shuttle è destinato all'esposizione al National Air and Space Museum di Washington D.C., mentre è stata ipotizzata la vendita degli altri orbiter[9].

venerdì 24 luglio 2009

Il destino del sole.


Ci sono stelle che muoiono scuotendo con un'immane esplosione la galassia che le ospita. Ci sono stelle più discrete, che esalano silenziosamente il loro ultimo respiro.
Il Sole è tra queste. Essendo ben lontana dal valore di massa che potrebbe innescare l'esplosione di supernova, la nostra stella, dopo essersi spogliata dell'atmosfera, metterà a nudo il suo nucleo, piccolo come un pianeta, e inizierà la sua lunga agonia di nana bianca. Le nane bianche hanno fatto il loro ingresso in sordina nel mondo dell'astronomia solo nel 1844 quando Friedrich Bessel, studiando in dettaglio il moto proprio della brillante Sino (1a "stella del Cane"), scoprì che in realtà si trattava di un sistema binario la cui seconda componente (chiamata Sino B e da alcuni soprannominata il "cucciolo") non risultava visibile, seppure avesse massa paragonabile. Solo nel 1862 Alvan Clark usando particolari accorgimenti riuscì a vedere la debole compagna, la cui luminosità risultò essere diecimila volte inferiore quella dì Sirio stessa. Fin qui niente di strano, finche nel 1914 Walter Adams, studiando lo spettro di Sino B, scopri che si trattava di una stella "bianca", cioè con una temperatura superficiale piuttosto elevata: ben 8000 Kelvin (contro i circa 6000 K del Sole) rilascia da ogni metro quadrato circa il triplo dell'energia che Sole emette dalla stessa superficie. Eppure la luminosità totale molto bassa. Tutti i fatti potevano essere conciliati tra loro solo supponendo che le dimensione di Sino B fossero molto piccole una vera "nana stellare". Sirio è infatti il prototipo di quegli astri che sono detti nane bianche. Nel 1926 Sir Arthur Eddington scriveva: "Abbiamo una stella ( massa circa uguale a quella del Sole e di raggio molto più piccolo di quello di Urano", per cui la densità di Sino B risultava essre dell'ordine di migliaia di chili per centimetro cubo - si ricorda che la densità media del Sole di circa un grammo per centimetro cubo. I tempi non erano ancora maturi per risolvere il mistero delle nane bianche: fu necessario infatti arrivare prima ad una compressione del comportamento del materia in condizioni di altissima densità e studiare cosa succede nelle ultime fasi di vita una stella, quando il suo combustibile nucleare si esaurisce.
Tra cinque miliardi di anni
Una stella passa la maggior parte della sua vita a soddisfare il delicato equilibrio tra la spinta gravitazionale verso il centro dei suoi stessi strati, che cerca comprimerla, e la pressione del gas nel suo interno, che vi si o pone, proveniente dal tremendo calore generato dalle reazioni nucleari. La principale reazione nucleare è il bruciamento di idrogeno in elio. Per una stella come il nostro Sole, si ritiene che tra cinque miliardi di anni tutto il suo nucleo di idrogeno si sarà trasformato in elio. Allora inizia una vita frenetica. Dapprima il nucleo, non più in grado mantenere il delicato equilibrio si contrarrà; in tal modo la si temperatura aumenta e questo permette l'innesco delle reazioni nucleari dell'idrogeno anche in un piccolo strato attorno al nucleo inerte di elio. Nello stesso tempo gli strati stellari esterni si espandono enormemente e la stella diviene una gigante rossa, con un raggio tale da raggiungere l'orbita terrestre: Mercurio e Venere spariranno in questa fase, vaporizzando nella caduta verso il Sole. In seguito, il nucleo diviene così caldo, circa cento milioni di gradi, da innescare le reazioni nucleari dell'elio, che fonde per dare origine a carbonio e ossigeno. Anche l'elio centrale tuttavia è destinato ad esaurirsi. Per una stella come il Sole, l'evoluzione successiva consiste nell'accensione delle reazioni dell'elio anche in un guscio intorno al nucleo, nella espansione a supergigante rossa, con un diametro pari all'orbita di Marte, e infine nell'espulsione degli strati esterni che danno origine ad una nebulosa planetaria, mentre quelle che resta del nucleo si trasforma in una nana bianca.
Elettroni degeneri
La nana bianca è una gtella che non ha più fonti di energia nucleare. Essa è tuttavia ancora capace di bilanciare la forza gravitazionale che la comprime in quanto gli elettroni, strappati da loro atomi di origine, in queste condizioni estreme di densità, entrano in uno stato noto come "gas degenere" (il termine non ha nulla a che vedere con la morale : gli elettroni non ne hanno !). In parole povere, gli elettroni sono impacchettati l'uno contro l'altro che reagiscono opponendo una pressione "quantistica" alla gravità che li opprime. Questa "pressione di degenerazione" si può dimostrare che non dipende dalla temperatura ma solo dalla densità del gas di elettroni. Grazie ad essa viene impedito l'ulteriore collasso della nana bianca. Questa, essendo un corpo caldo, continuerà ad irraggiare e quindi a raffreddarsi. Il nostro Sole perderà così energia nello spazio per miliardi di anni sparendo lentamente alla vista dei futuri abitatori della Galassia, fino a trasformarsi lentamente in una fredda "nana nera". Dei pianeti del Sistema Solare forse sopravviveranno solo quelli più esterni, trasformati ancor più in mondi inerti dominati dal gelo.

Marte, stiamo arrivando!

di Gigi Donelli
Mentre si avvicina il primo test di lancio per la nuova generazione di lanciatori Ares-1, previsto entro la fine dell'estate, l'amministrazione spaziale americana torna a parlare di Marte e dell'esplorazione umana. Lo fa attraverso Charles Bolden Jr., il primo capo afro-americano della Nasa, ex astronauta con 680 ore in orbita alle spalle. Bolden vuole accelerare l'arrivo dell'uomo su Marte e in un'intervista all'Associated Press, l'ex generale dei Marines in pensione è stato esplicito: ''Sarei incredibilmente dispiaciuto se nell'arco della mia vita non riuscissi a vedere l'uomo approdare su Marte, o anche oltre Marte''. Bolden, 62 anni, numero uno dell'agenzia spaziale dal 15 luglio scorso, è convinto che l'obiettivo possa essere raggiunto. L'amministrazione Bush aveva proposto un ritorno sulla Luna entro il 2020, seguito eventualmente da un viaggio su Marte nell'arco dei due decenni successivi. Bolden intende velocizzare i tempi: ''Non è possibile andare avanti di questo passo'' ha dichiarato Bolden auspicando un'accelerazione dei progetti. Il capo dell'agenzia spaziale ha anche espresso la volontà che la Stazione spaziale internazionale (SSI) continui ad esistere anche dopo il 2016, anno previsto dai programmi della amministrazione Bush per il suo abbandono. ''La stazione spaziale è un elemento prezioso che deve essere preservato'', ha aggiunto Bolden definendolo un elemento essenziale per continuare ad alimentare ''il desiderio dell'uomo di lasciare il pianeta e andare oltre l'orbita terrestre''.

Il sole 24 ore

giovedì 23 luglio 2009

Nettuno, il gigante freddo pianeta


Nettuno è l'ottavo e più lontano pianeta del Sistema solare, partendo dal Sole. Si tratta del quarto pianeta più grande, considerando il suo diametro, e addirittura il terzo se si considera la sua massa. Nettuno ha 17 volte la massa della Terra ed è leggermente più massiccio del suo quasi-gemello Urano, la cui massa è uguale a 15 masse terrestri, ma è meno denso di Nettuno.[8] Il nome del pianeta è dedicato al dio romano del mare; il suo simbolo è , una versione stilizzata del tridente di Nettuno.

Scoperto la sera del 23 settembre 1846 da Johann Gottfried Galle con il telescopio dell'Osservatorio astronomico di Berlino, e Heinrich Louis d'Arrest, uno studente di astronomia che lo assisteva, [1] Nettuno fu il primo pianeta ad essere stato trovato tramite dei calcoli matematici più che attraverso delle regolari osservazioni: dei cambiamenti insoliti nell'orbita di Urano lasciarono credere agli astronomi che vi fosse al di là un pianeta sconosciuto che ne perturbasse l'orbita. Il pianeta fu scoperto entro appena un grado dal punto predetto. La luna Tritone fu individuata poco dopo, ma nessun altro dei 12 satelliti naturali di Nettuno fu scoperto prima del XX secolo. Il pianeta è stato visitato da una sola sonda spaziale, la Voyager 2 che transitò vicino ad esso il 25 agosto 1989.

Nettuno ha una composizione simile a quella di Urano ed entrambi hanno composizioni differenti da quelle dei più grandi pianeti gassosi Giove e Saturno. A causa di ciò talvolta gli astronomi collocano questi due pianeti "minori" in una categoria separata, i cosiddetti "giganti ghiacciati". L'atmosfera di Nettuno, sebbene sia simile a quella di Giove e Saturno, essendo composta principalmente da idrogeno ed elio, possiede anche delle maggiori proporzioni di "ghiacci", come acqua, ammoniaca e metano, assieme a tracce di idrocarburi e forse azoto.[9] In contrasto, l'interno del pianeta è composto essenzialmente da ghiacci e rocce come il suo simile Urano.[10] Le tracce di metano presenti negli strati più esterni dell'atmosfera contribuiscono a conferire al pianeta Nettuno il suo caratteristico colore azzurro intenso.[11]

Nettuno possiede i venti più forti di ogni altro pianeta nel Sistema Solare: sono state misurate raffiche a velocità superiori ai 2100 km/h.[12] All'epoca del sorvolo da parte della Voyager 2, nel 1989, l'emisfero sud del pianeta possedeva una Grande Macchia Scura, comparabile con la Grande Macchia Rossa di Giove; la temperatura delle nubi più alte di Nettuno era di circa -218°C, una delle più fredde del Sistema solare, a causa della grande distanza dal Sole. La temperatura al centro del pianeta è di circa 7×103 °C (circa 7×103 K), comparabile con la temperatura superficiale del Sole e simile a quella del nucleo di molti altri pianeti conosciuti. Il pianeta possiede inoltre un debole e frammentario sistema di anelli, scoperto negli anni sessanta ma confermato solo dalla Voyager 2.[13]

OSSERVAZIONI DA TERRA

Nettuno è invisibile ad occhio nudo da Terra; la sua magnitudine apparente, sempre compresa fra la 7,7 e la 8,0, necessita almeno di un binocolo per permettere l'individuazione del pianeta.[7][4]

Visto attraverso un grande telescopio, Nettuno appare come un piccolo disco bluastro dal diametro apparente di 2,2–2,4 secondi d'arco.[4][7], simile nell'aspetto ad Urano. Il colore è dovuto alla presenza di metano nell'atmosfera nettuniana, in ragione del 2%. Si è avuto un netto miglioramento nello studio visuale del pianeta da Terra con l'avvento del Telescopio spaziale Hubble [14] e dei grandi telescopi a terra con ottiche adattive.[15] Le immagini migliori ottenibili da Terra permettono oggi di individuarne le formazioni nuvolose più pronunciate e le regioni polari, più chiare del resto dell'atmosfera. Con strumenti meno precisi è impossibile individuare qualsiasi formazione superficiale del pianeta, ed è preferibile dedicarsi alla ricerca del suo satellite principale, Tritone.

Ad osservazioni nelle frequenze radio, Nettuno appare essere la sorgente di due emissioni: una continuata e piuttosto debole, l'altra irregolare e più energetica. Gli studiosi ritengono che entrambe sono generate dal campo magnetico rotante del pianeta.[16] Le osservazioni nell'infrarosso esaltano le formazioni nuvolose del pianeta, che brillano luminose sullo sfondo più freddo, e permettono di determinarne agevolmente le forme e le dimensioni.[17]

Fra il 2010 ed il 2011 Nettuno completerà la sua prima orbita attorno al Sole dal 1846, quando venne scoperto da Johann Galle, e sarà quindi osservabile in prossimità delle coordinate a cui è stato scoperto.[18]

MISSIONI SPAZIALI

L'unica sonda spaziale ad aver visitato Nettuno è stata la Voyager 2, nel 1989; con un sorvolo ravvicinato del pianeta la Voyager ha permesso di individuarne le principali formazioni atmosferiche, alcuni anelli e numerosi satelliti. Il 25 agosto 1989 la sonda ha sorvolato il polo nord di Nettuno ad una quota di 4950 km, per poi dirigersi verso Tritone, il satellite maggiore, raggiungendo una distanza minima di circa 40 000 km.

Dopo le ultime misure scientifiche, condotte durante la fase di allontanamento dal gigante gassoso, il 2 ottobre 1989 tutti gli strumenti della sonda sono stati spenti, lasciando in funzione solamente lo spettrometro ultravioletto. Voyager 2 iniziava così una lunga marcia verso lo spazio interstellare, alla velocità di 470 milioni di chilometri all'anno; l'inclinazione della sua traiettoria rispetto all'eclittica è di circa 48°. Si ritiene che, al ritmo attuale, Voyager 2 raggiungerà il sistema di Sirio nell'anno 358 000.

Sono allo studio da parte della NASA due possibili missioni: un orbiter, il cui lancio non è previsto prima del 2040 [43], ed una sonda che effettuerebbe un fly-by del pianeta per proseguire poi verso due o tre oggetti della fascia di Kuiper, il cui lancio potrebbe avvenire nel 2019 [44][45].

PARAMETRI ORBITALI

Il pianeta compie una rivoluzione attorno al Sole in circa 164,79 anni.[3] Con una massa pari a circa 17 volte quella terrestre ed una densità media di 1,64 volte quella dell'acqua, Nettuno è il più piccolo e più denso fra i pianeti giganti del sistema solare. Il suo raggio equatoriale, ponendo lo zero altimetrico alla quota in cui la pressione atmosferica vale 1000 hPa, è di 24 764 km.

L'orbita di Nettuno è caratterizzata da un'inclinazione di 1,77° rispetto al piano dell'eclittica e da un'eccentricità di 0,011. In conseguenza di ciò, la distanza tra Nettuno ed il Sole varia di 101 milioni di km tra perielio ed afelio, i punti dell'orbita in cui il pianeta è rispettivamente più vicino e più lontano al Sole.[2]

Nettuno compie una rotazione completa intorno al proprio asse in circa 16,11 ore. L'asse è inclinato di 28,32° rispetto al piano orbitale,[46] valore simile all'angolo d'inclinazione dell'asse della Terra (23°) e di Marte (25°). Di conseguenza, i tre pianeti sperimentano cambiamenti stagionali simili. Tuttavia, il lungo periodo orbitale implica che su Nettuno ciascuna stagione ha una durata di circa quaranta anni terrestri.[47]

Poiché Nettuno non è un corpo solido, la sua atmosfera presenta una rotazione differenziale: le ampie fasce equatoriali ruotano con un periodo di circa 18 ore, inferiore al periodo di rotazione del campo magnetico del pianeta che è pari a 16,1 ore; le regioni polari invece completano una rotazione in 12 ore. Nettuno presenta la rotazione differenziale più marcata del sistema solare,[48] che origina forti venti longitudinali.[49]

FORMAZIONE

La formazione dei giganti ghiacciati, Nettuno e Urano, è difficile da spiegare con precisione; i modelli correnti suggeriscono che la densità di materia delle regioni più esterne del Sistema solare fosse troppo bassa per formare dei corpi così grandi tramite il metodo tradizionalmente accettato dell'accrezione e sono state avanzate varie ipotesi per spiegare la loro evoluzione. Una è quella secondo cui i giganti ghiacciati non si sono formati tramite l'accrezione del nucleo, ma dalle instabilità dell'originario disco protoplanetario, ed in seguito la loro atmosfera sarebbe stata spazzata via dalle radiazioni di una stella massiccia di classe spettrale O o B molto vicina.[57] Un concetto alternativo è quello secondo cui si formarono più vicini al Sole, dove la densità di materia era più elevata, e poi migrarono verso le attuali orbite.[58]

L'ipotesi della migrazione è favorita dalla sua caratteristica di poter spiegare le attuali risonanze orbitali nella Fascia di Kuiper, in particolare la risonanza 2/5. Come Nettuno migrò verso l'esterno, si scontrò con gli oggetti della proto-fascia di Kuiper, creando nuove risonanze e mandando in caos le altre orbite; gli oggetti nel disco diffuso si crede che siano stati spinti nelle attuali posizioni da interazioni con le risonanze create dalla migrazione di Nettuno.[59] Un modello al computer elaborato nel 2004 da Alessandro Morbidelli dell'Observatoire de la Côte d'Azur a Nizza suggerì che la migrazione di Nettuno nella Fascia di Kuiper potrebbe essere stata provocata dalla formazione di una risonanza 1/2 nelle orbite di Giove e Saturno, che creò una spinta gravitazionale che mandò sia Urano che Nettuno verso orbite più alte causando così il loro spostamento. L'espulsione risultante di oggetti dalla proto-fascia di Kuiper potrebbe anche spiegare l'intenso bombardamento tardivo avvenuto circa 600 milioni di anni dopo la formazione del Sistema solare e la comparsa degli asteroidi Troiani.[60]

MASSA E DIMENSIONI

Con una massa di 1,0243x1026 kg,[4] Nettuno è un corpo intermedio fra la Terra ed i grandi giganti gassosi: la sua massa è diciassette volte quella della Terra, ma è appena un diciannovesimo di quella di Giove.[8] Il raggio equatoriale del pianeta è di 24,764 km,[5] ossia circa quattro volte maggiore di quello della Terra. Nettuno e Urano sono spesso considerati come una sottoclasse di giganti, chiamata "giganti ghiacciati", a causa delle loro dimensioni inferiori e alla più alta concentrazione di sostanze volatili rispetto a Giove e Saturno.[61] Nella ricerca di pianeti extrasolari Nettuno è stato usato come termine di paragone: i pianeti scoperti con una massa simile sono detti infatti "pianeti nettuniani",[62] così come gli astronomi si riferiscono ai vari "pianeti gioviani".

GEOLOGIA

La struttura interna di Nettuno ricorda quella di Urano; la sua atmosfera forma circa il 5-10% della massa del pianeta, estendendosi dal 10 al 20% del suo raggio, dove raggiunge pressioni di circa 10 gigapascal. Nelle regioni più profonde sono state trovate delle concentrazioni crescenti di metano, ammoniaca e acqua.[63]
Gradualmente questa regione più calda e oscura condensa in un mantello liquido surriscaldato, dove le temperature raggiungono valori compresi fra i 2000 K ed i 5000 K; il mantello possiede una massa di 10-15 masse terrestri ed è ricco di acqua, ammoniaca, metano ed altre sostanze.[1] Come è solito nelle scienze planetarie, questa mistura è chiamata "ghiacciata", sebbene sia in realtà un fluido caldo e molto denso; questo fluido, che possiede un'elevata conducibilità elettrica, è talvolta chiamato "oceano di acqua e ammoniaca".[64] Alla profondità di 7000 km, lo scenario potrebbero essere quello in cui il metano si decompone in cristalli di diamante e precipita verso il centro.[65]

Il nucleo planetario di Nettuno è composto da ferro, nichel e silicati; i modelli forniscono una massa di circa 1,2 masse terrestri.[66] La pressione del nucleo è di 7 megabar, milioni di volte superiore a quella della superficie terrestre, e la temperatura potrebbe essere sui 5400 K.[63][67]

Le maggiori variazioni climatiche di Nettuno, comparate con quelle di Urano, si crede siano dovute in parte al suo calore interno più elevato.[68] Sebbene Nettuno sia distante dal Sole una volta e mezzo in più rispetto a Urano e riceva quindi solo il 40% della quantità di luce,[9] la superficie dei due pianeti è grosso modo uguale.[68] Le regioni più superficiali della troposfera di Nettuno raggiungono la bassa temperatura di -221,4 °C; alla profondità in cui la pressione atmosferica è pari a 1 bar, la temperatura è di -201,15 °C.[69] In profondità nello strato di gas, tuttavia, la temperatura sale costantemente; così come Urano, la sorgente di questo riscaldamento è sconosciuta, ma la discrepanza è maggiore: Urano irradia solo 1,1 volte la quantità di energia che riceve dal Sole, [70] mentre Nettuno ne irradia 2,61 volte tanto, indicando che la sua sorgente interna di calore genera il 161% in più dell'energia ricevuta dal Sole.[71] Nettuno è il pianeta del Sistema solare più lontano dal Sole, ma la sua sorgente interna di energia è sufficiente per causare i venti planetari più veloci visti in tutto il Sistema solare stesso. Sono state suggerite alcune possibili spiegazioni, fra le quali il calore radiogenico proveniente dal nucleo del pianeta,[72] la dissociazione del metano in catene di idrocarburi sotto elevate pressioni atmosferiche, [73][72] e i moti convettivi della bassa atmosfera che causano onde di gravità che si dissolvono sopra la tropopausa.[74][75]

ATMOSFERA

Ad alta quota, l'atmosfera di Nettuno è formata all'80% da idrogeno e al 19% da elio,[63] più delle tracce di metano. Notevoli bande di assorbimento del metano si trovano vicino alla lunghezza d'onda dei 600 nm, nella parte rossa ed infrarossa dello spettro. Così come Urano, quest'assorbimento della luce rossa da parte del metano atmosferico contribuisce a conferire a Nettuno il suo caratteristico colore azzurro intenso,[76] sebbene il colore azzurro differisca dal più tenue acquamarina tipico di Urano. Dato che la quantità di metano contenuta nell'atmosfera di Nettuno è simile a quella di Urano, ci dev'essere qualche altra sostanza non conosciuta che contribuisca in modo determinante a conferire questa tonalità così intensa al pianeta.[11]

L'atmosfera di Nettuno è suddivisa in due regioni principali: la bassa troposfera, dove la temperatura decresce con l'altitudine, e la stratosfera, dove la temperatura aumenta con l'altitudine; il confine fra le due, la tropopausa si trova a circa 0,1 bar.[9] La stratosfera dunque è seguita dalla termosfera alla pressione inferiore a 10−4–10−5 microbar.[9] L'atmosfera sfuma gradualmente verso l'esosfera.
I modelli suggeriscono che la troposfera di Nettuno sia attraversata da nubi di varia composizione a seconda dell'altitudine; il livello superiore di nubi si trova a pressioni inferiori a 1 bar, dove la temperatura è adatta alla condensazione del metano. Con pressioni fra 1 e 5 bar si crede si formino nubi di ammoniaca e acido solfidrico; oltre i 5 bar di pressione, le nubi potrebbero essere costituite da ammoniaca, solfato d'ammonio ed acqua. Le nubi più profonde di ghiaccio d'acqua potrebbero formarsi a pressioni attorno ai 50 bar, dove la temperatura raggiunge i 0 °C. Sotto ancora, si potrebbero trovare delle nubi di ammoniaca e acido solfidrico.[16]

Sono state osservate nubi d'alta quota su Nettuno che formano delle ombre sopra l'opaco manto nuvoloso sottostante. Ci sono anche delle bande di nubi d'alta quota che circondano il pianeta a latitudini costanti; queste bande disposte a circonferenza hanno degli spessori di 50-150 km e si trovano a circa 50-110 km sopra il manto nuvoloso sottostante.[49]

Lo spettro di Nettuno suggerisce che i suoi strati atmosferici inferiori siano nebbiosi a causa della concentrazione di prodotti della fotolisi ultravioletta del metano, come etano e acetilene;[63][9] l'atmosfera contiene anche tracce di monossido di carbonio e acido cianidrico.[9][77] La stratosfera del pianeta è più tiepida di quella di Urano a causa dell'elevata concentrazione di idrocarburi.[9]

Per ragioni ancora non conosciute, la termosfera planetaria possiede una temperatura insolitamente alta, pari a circa 750 K.[78][79] Il pianeta è troppo lontano dal Sole perché il calore sia generato dalla radiazione ultravioletta; una possibilità per spiegare il meccanismo di riscaldamento è l'interazione atmosferica fra ioni nel campo magnetico del pianeta. Un'altre possibile causa è data dalle onde di gravità dall'interno che si disperdono nell'atmosfera. La termosfera contiene tracce di diossido di carbonio ed acqua, che potrebbero provenire da sorgenti esterne, come meteoriti e polveri.[16][77]

METEOROLOGIA

Una differenza fra Nettuno e Urano è il livello tipico di attività meteorologica; quando la sonda spaziale Voyager 2 sorvolò Urano, nel 1986, questo pianeta era visivamente privo di attività atmosferica. In contrasto, Nettuno mostrava notevoli fenomeni climatici durante il sorvolo della sonda, avvenuto nel 1989.[80]
Il tempo meteorologico di Nettuno è caratterizzato da sistemi tempestosi estremamente dinamici, con venti che raggiungono la velocità quasi supersonica di 600 m/s.[82] Più tipicamente, tracciando il movimento delle nubi persistenti, la velocità del vento sembra variare dai 20 m/s in direzione est fino ai 235 m/s in direzione ovest.[83] Sulla cima delle nubi, i venti predominanti variano in velocità dai 400 m/s lungo l'equatore ai 250 m/s sui poli.[16] Molti dei venti di Nettuno si muovono in direzione opposta rispetto alla rotazione del pianeta.[84] Il livello generale dei venti mostra una rotazione prograda alle alte latitudini e retrograda alle basse latitudini; la differenza della direzione dei flussi ventosi si crede sia un effetto superficiale e non dovuto ad alcun processo atmosferico più profondo.[9] A 70° S di longitudine, un getto ad alta velocità viaggia a 300 m s−1.[9]

L'abbondanza di metano, etano e acetilene all'equatore di Nettuno è 10–100 volte superiore di quella dei poli; ciò è interpretato come un'evidenza della presenza di fenomeni di risalita all'equatore e di subsidenza verso i poli.[9]

Nel 2007 fu scoperto che gli strati superiori della troposfera del polo sud di Nettuno erano di circa 10 °C più tiepidi che nel resto del pianeta, con una media di circa -200 °C.[85] Il differenziale di calore è sufficiente per consentire al gas metano, che in altri punti si gela nell'alta atmosfera del pianeta, di essere espulso verso lo spazio. Il relativo "hot spot" è dovuto all'inclinazione dell'asse di Nettuno, che ha esposto il polo sud al Sole per l'ultimo quarto di anno nettuniano, pari a circa 40 anni terrestri; similmente a come avviene nella Terra, l'alternanza delle stagioni farà in modo che il polo esposto al Sole sarà in seguito il polo nord, causando così il riscaldamento e la successiva emissione di metano dall'atmosfera in quest'ultimo polo.[86]

A causa del cambiamento stagionale, le bande di nubi dell'emisfero sud di Nettuno sono aumentate in dimensioni e albedo; questo processo fu osservato inizialmente nel 1980 e ci si aspetta che finirà attorno al 2020. Il lungo periodo orbitale di Nettuno causa un alternarsi stagionale in quarant'anni.[47]

Nel 1989 fu scoperta dalla sonda Voyager 2 la Grande Macchia Scura, un sistema di tempeste anticiclonico delle dimensioni di 13000 × 6600 km,[80] La tempesta ricordò la Grande Macchia Rossa di Giove; tuttavia, il 2 novembre 1994, il Telescopio Spaziale Hubble non riuscì ad osservare questa macchia scura sul pianeta. Al suo posto, apparve una nuova tempesta simile alla Grande Macchia Scura nell'emisfero nord.[87]

Lo "Scooter" è un'altra tempesta, una nube bianca posta più a sud della Grande Macchia Scura; il suo nome deriva dal fatto che quando fu osservata per la prima volta nel mese precedente al sorvolo della sonda Voyager 2, si muoveva più velocemente della Grande Macchia Scura.[84] Immagini successive rivelarono delle nubi più rapide. La Piccola Macchia Scura è invece una tempesta ciclonica meridionale, la seconda tempesta più potente osservata durante il transito del 1989; inizialmente era completamente scura, ma come la sonda si avvicinò iniziò a mostrarsi una macchia più chiara, visibile in tutte le immagini ad alta risoluzione.[88]

Le macchie scure di Nettuno si crede siano apparse nella troposfera ad altezze inferiori rispetto alle nubi più bianche e luminose del pianeta,[89] così appaiono come dei buchi nello strato di nubi sovrastante; dal momento che sono delle strutture stabili che possono persistere per diversi mesi, si crede che siano delle strutture a vortice.[49] Spesso nei pressi di queste strutture si trovano delle nubi di metano più brillanti e persistenti, che si formano presumibilmente all'altezza della tropopausa.[90]

La persistenza di nubi compagne mostra che alcune macchie oscure continuano ad esistere come cicloni, sebbene non siano più visibili come punti scuri; le macchie scure potrebbero anche dissiparsi quando migrano troppo vicino all'equatore, oppure tramite degli altri meccanismi non conosciuti.[91]

ANELLI PLANETARI

Nettuno ha un sistema di anelli planetari, uno dei più sottili del Sistema solare; gli anelli potrebbero consistere di particelle legate con silicati o materiali composti da carbonio, che conferisce loro un colore tendente al rossastro.[95] In aggiunta al sottile Anello Adams, a 63000 km dal centro del pianeta, si trova l'Anello Leverrier, a 53000 km, ed il suo più vasto e più debole Anello Galle, a 42000 km. Un'estensione più lontana di quest'ultimo anello è stata chiamata Lassell; è legata al suo bordo più esterno dall'Anello Arago, a 57000 km.[96]

Il primo di questi anelli planetari fu scoperto nel 1968 da un gruppo di ricerca guidato da Edward Guinan,[13][97] ma si era in seguito pensato che quest'anello potesse essere incompleto.[98] Evidenze che l'anello avrebbe avuto delle interruzioni giunsero durante un'occultazione stellare nel 1984 quando gli anelli oscurarono una stella in immersione ma non in emersione.[99] Immagini della sonda Voyager 2 prese nel 1989 mostrarono invece che gli anelli di Nettuno erano molteplici; questi anelli hanno una struttura a gruppi,[100] la cui causa non è ben compresa ma che potrebbe essere dovuta all'interazione gravitazionale con le piccole lune in orbita nei pressi.[101]

L'anello più interno, Adams, contiene cinque archi maggiori chiamati Courage, Liberté, Egalité 1, Egalité 2, and Fraternité.[102] L'esistenza degli archi è stata difficile da spiegare poiché le leggi del moto predirrebbero che gli archi verrebbero dispersi in un anello uniforme in una scala temporale molto breve. Gli astronomi ritengono che gli archi siano rinchiusi entro le loro forme attuali a causa degli effetti gravitazionali di Galatea, una luna posta all'interno dell'anello.[103][104]

Osservazioni condotte da Terra annunciate nel 2005 sembravano mostrare che gli anelli di Nettuno sono molto più instabili di quanto in precedenza creduto. Immagini prese con i Telescopi Keck nel 2002 e 2003 mostrano un decadimento considerevole negli anelli quando vengono comparati con le immagini prese dalla Voyager 2; in particolare, sembra che l'arco Liberté potrebbe dissolversi entro la fine del XXI secolo.[105]

SATELLITI NATURALI
Nettuno possiede tredici satelliti naturali conosciuti, il maggiore dei quali è Tritone; gli altri satelliti principali sono Nereide, Proteo e Larissa.

Tritone è l'unico satellite di Nettuno che possiede una forma ellissoidale; fu individuato per la prima volta dall'astronomo William Lassell appena 17 giorni dopo la scoperta del pianeta madre. Orbita in direzione retrograda rispetto a Nettuno, a differenza di tutti gli altri satelliti principali del sistema solare; è in rotazione sincrona con Nettuno e la sua orbita è in decadimento costante.

Il satellite più interessante, a parte Tritone, è Nereide, la cui orbita è fra le più eccentriche dell'intero sistema solare.

Fra il luglio ed il settembre 1989 la sonda statunitense Voyager 2 ha individuato sei nuovi satelliti, fra i quali spicca Proteo, le cui dimensioni sarebbero quasi sufficienti a conferirgli una forma sferoidale; è il secondo satellite del sistema di Nettuno, pur con una massa pari ad appena lo 0,25% di quella di Tritone.

Una nuova serie di scoperte è stata annunciata nel 2004; si tratta di satelliti minori e fortemente irregolari.

Titano, la grande luna di metano di Saturno




Titano è il più grande satellite naturale del pianeta Saturno, ed uno dei corpi rocciosi più massicci dell'intero sistema solare; supera in dimensioni il pianeta Mercurio e il pianeta nano Plutone, ed è il secondo satellite del Sistema solare dopo Ganimede. Si tratta inoltre dell'unico satellite in possesso di una densa atmosfera, che in passato ha impedito uno studio dettagliato della sua superficie dalla Terra; con la recente missione spaziale Cassini-Huygens, tuttavia, è stato possibile studiare l'oggetto da distanza ravvicinata, ed il lander Huygens è atterrato con successo sul suolo titaniano.
L'atmosfera titaniana appare ricca di metano, e la temperatura superficiale media è molto vicina al punto triplo del metano, dove possono coesistere le forme liquida, solida e gassosa di questo composto.
Misure condotte con telescopi terrestri hanno evidenziato che la superficie non è uniforme, e presenta quelli che potrebbero essere dei continenti.

CENNI STORICI

Titano fu scoperto il 25 marzo 1655 dall'astronomo olandese Christiaan Huygens; si trattava del primo satellite naturale ad essere individuato dopo i satelliti galileiani di Giove.

Huygens lo denominò semplicemente, in lingua latina, Luna Saturni ("il satellite di Saturno"), ad esempio nell'opera De Saturni Luna observatio nova del 1656. Quando più tardi Giovanni Domenico Cassini scoprì quattro nuovi satelliti, li volle chiamare Teti, Dione, Rea e Giapeto (complessivamente noti come satelliti lodicei); la tradizione di battezzare i nuovi corpi celesti scoperti in orbita attorno a Saturno proseguì, e Titano iniziò ad essere designato, nell'uso comune, come Saturno VI, perché apparentemente sesto in ordine di distanza dal pianeta.

Il nome di Titano venne suggerito per la prima volta da John Herschel (figlio del più celebre William Herschel), nella sua pubblicazione Risultati delle osservazioni astronomiche condotte presso il Capo di Buona Speranza del 1847. Di conseguenza iniziò la tradizione di denominare gli altri satelliti saturniani in onore dei titani della mitologia greca, o delle sorelle e dei fratelli di Cronos.

OSSERVAZIONE

La magnitudine apparente di Titano da Terra oscilla fra 7,9 ed 8,7; il satellite non si trova mai ad una distanza angolare da Saturno superiore a 20 raggi saturniani. Sebbene chiaramente invisibile ad occhio nudo, Titano può essere individuato attraverso piccoli telescopi (con diametro maggiore di 5 cm) o binocoli particolarmente potenti; il diametro apparente del suo disco è mediamente pari a 0,8 secondi d'arco.

ORBITA E ROTAZIONE

Titano orbita intorno a Saturno in 15 giorni e 22 ore. Come la Luna e molti altri satelliti dei giganti gassosi, il suo periodo orbitale è identico al suo periodo di rotazione; Titano è quindi in rotazione sincrona con Saturno. L'orbità presenta un'eccentricità di 0,0288 ed un'inclinazione di 0,348° rispetto al piano equatoria di Saturno [1].

Titano è in risonanza orbitale 3:4 con il piccolo ed irregolare Iperione. Da un'analisi basata su modelli teorici, è ritenuta improbabile un'evoluzione lenta e progressiva della risonanza, durante la quale Iperione sarebbe migrato da un'orbita caotica all'attuale. Piuttosto, Iperione si è probabilmente formato in una fascia orbitale stabile, mentre Titano, più massiccio, assorbiva o scacciava gli oggetti che gli si trovavano in fasce orbitali intrinsecamente instabili [2].

GEOLOGIA

Titano è stato a lungo ritenuto il satellite più grande del sistema solare; in verità le prime osservazioni da Terra sono state disturbate dalla sua densa atmosfera, che ha causato una stima per eccesso delle dimensioni reali del corpo [3]. In verità il satellite gioviano Ganimede è leggermente più grande di Titano, oltre che più massivo.

Le proprietà fisiche di Titano sono simili a quelle di Ganimede e Callisto [4], del satellite nettuniano Tritone e di Plutone; la massa del satellite viene data verosimilmente per metà da ghiaccio e per l'altra metà da materiale roccioso.

La sua struttura interna è probabilmente stratificata, con un nucleo roccioso dal diametro di circa 3400 km circondato da strati composti da diverse forme cristalline del ghiaccio [5]. L'interno di Titano potrebbe essere ancora caldo, e vi potrebbe essere uno strato liquido composto da acqua ed ammoniaca situato fra il nucleo roccioso e la crosta ghiacciata. Prove a sostegno di questa ipotesi sono state recentemente scoperte dalla sonda Cassini, nella forma di onde radio ELS naturali nell'atmosfera della luna. Si ritiene che la superficie di Titano sia poco riflettente per le onde ELS; queste, quindi, dovrebbero venir riflesse da una superficie di separazione tra uno strato ghiacciato ed uno liquido in un oceano presente al di sotto della superficie. [6]. Inoltre, dal confronto fra le immagini raccolte nell'ottobre del 2005 ed il maggio del 2007, appare evidente una traslazione della crosta anche di 30 km, per effetto dei venti atmosferici. Ciò avvalora l'ipotesi della presenza di uno strato liquidio all'interno del pianeta sul quale galleggerebbe il leggero strato superficiale [7].

Sebbene la composizione chimica titaniana sia analoga a quella degli altri satelliti naturali di Saturno, e in particolar modo Rea, Titano presenta una densità maggiore, per via della compressione gravitazionale.

ATMOSFERA

Titano è l'unico satellite naturale del sistema solare a possedere un'atmosfera sviluppata; la sua scoperta risale al 1944, quando Gerard Kuiper, facendo uso di tecniche spettroscopiche, stimò la pressione parziale del metano in 10 kPa. In seguito, le osservazioni condotte da distanza ravvicinata nell'ambito del programma Voyager hanno permesso di determinare che l'atmosfera titaniana è più densa di quella terrestre, con una pressione alla superficie di circa il 50% maggiore, e le sue imponenti formazioni nuvolose rendono impossibile l'osservazione diretta della superficie. La foschia visibile nell'immagine a fianco contribuisce a sostenere un effetto serra al contrario, che, aumentando l'albedo del satellite e riflettendo la luce incidente nello spazio, ne diminuisce la temperatura superficiale.

L'atmosfera si compone al 98,4% di azoto, all'1,4% di metano. Sono presenti tracce di numerosi altri gas.

SUPERFICIE

La missione Cassini ha rilevato che la superficie di Titano è relativamente liscia: le poche formazioni simili a crateri da impatto sembra siano state riempite, forse da piogge di idrocarburi o vulcani. L'area attualmente mappata non sembra presentare variazioni in altezza maggiori di 50 metri [8]; tuttavia l'altimetria radar ha coperto al momento solo parte della regione polare Nord.

La superficie di Titano è segnata da vaste regioni di terreno chiaro e scuro, inclusa un'area grande come l'Australia identificata dalle immagini all'infrarosso provenienti dal Telescopio spaziale Hubble e dalla sonda Cassini. Questa regione è stata chiamata Xanadu ed è relativamente elevata. Ci sono altre zone scure presenti su Titano, osservate dal suolo e dalla sonda Cassini. Si ipotizza che possano essere mari di metano o etano, ma altre osservazioni sembrano indicare altre ipotesi. Inoltre sono state individuate alcuni segni lineari misteriosi, che potrebbero indicare attività tettoniche, e regioni con materiale chiaro intersecate da lineamenti scuri.

L'ipotesi della presenza di laghi o addirittura mari di metano[9], formulata da tempo dagli scienziati, ha recentemente trovato conferma[10] nelle analisi dei dati raccolti dalla sonda Cassini, che hanno permesso di identificare un lago contenente etano, in una soluzione liquida assieme a metano e altri idrocarburi. Questa scoperta conferma la teoria che sul satellite di Saturno sia presente un ciclo idrologico basato sul metano, analogo a quello terrestre basato sull'acqua. Sono stati infatti trovati indizi consistenti di fenomeni di evaporazione, piogge e canali naturali scavati da fluidi.

Inoltre, la sonda Cassini ha osservato variazioni della superficie coerenti con eruzioni di criovulcani. A differenza dei vulcani attivi sulla Terra, i vulcani di Titano eruttano presumibilmente acqua, ammoniaca (che non potrebbe essere altresì presente in superficie, ma la cui identificazione appare ancora dubbia) e metano nell'atmosfera, dove congelano rapidamente ricadendo al suolo. Un'alternativa a questa ipotesi è che le variazioni superficiali siano derivate dallo spostamento di detriti in seguito a piogge di idrocarburi.[11][12]

ESPLORAZIONI DI TITANO

Titano è stato sorvolato per la prima volta dalle sonde automatiche statunitensi Voyager 1 (la cui traiettoria è stata modificata per favorire un passaggio ravvicinato) e Voyager 2. Sfortunatamente la Voyager 1 non era provvista di alcuno strumento in grado di vedere attraverso la densa atmosfera del pianeta, una circostanza che non era stata assolutamente prevista; solo molti anni più tardi tecniche di manipolazione intensiva delle immagini riprese attraverso il filtro arancione della sonda hanno permesso di ricavare quelle che sono a tutti gli effetti le prime fotografie mai scattate della regione di Xanadu, ritenuta dagli scienziati probabilmente una catena montuosa o un altopiano.

Quando la Voyager 2 raggiunse il sistema di Saturno, apparve chiaro che un possibile cambio di traiettoria per favorire un incontro ravvicinato con Titano avrebbe impedito la prosecuzione del viaggio verso Urano e Nettuno; dati gli scarsi risultati ottenuti dalla sonda gemella, la NASA decise di rinunciare alla possibilità, e la sonda non fu attivamente impiegata per uno studio intensivo di Titano.

La grande mole di dati attualmente conosciuti sul satellite è quasi interamente dovuta alla missione spaziale italo-euro-statunitense Cassini-Huygens. La sonda ha raggiunto Saturno il 1 luglio 2004, quando ha avviato le prime attività di mappatura della superficie di Titano attraverso strumenti radar; il primo sorvolo diretto del satellite è avvenuto il 26 ottobre 2004 [1], ad una distanza record di appena 1200 km dall'atmosfera titaniana. Gli strumenti di Cassini hanno subito individuato strutture superficiali chiare e scure che sarebbero state invisibili all'occhio umano.

Dalla sonda madre è stato sganciato il modulo di terra Huygens, privo di motori, che il 14 gennaio 2005 si è tuffato con successo nella densa atmosfera di Titano, raggiungendone la superficie, dopo una lunga discesa. La sonda, al contrario di quanto sostenuto da alcune teorie, non ha individuato tracce di liquidi di alcun tipo sulla superficie. La consistenza del suolo di Titano è tuttavia risultata simile a quella della sabbia bagnata, e non si esclude che il terreno sia periodicamente irrorato da flussi liquidi.

Oltre ad osservazioni di remote sensing (una camera e una radar SAR), Huygens ha trasmesso a Terra una registrazione audio ottenuta grazie ad un microfono progettato dall'italiano Marcello Fulchignoni e realizzato dalla Galileo Avionica (Finmeccanica). I dati in formato audio riportano prima un silenzio profondo, come doveva essere sulla Terra prima della vita, poi suoni che potrebbero essere dei tuoni.